Che cosa ce ne facciamo delle emozioni?

Questa sera alle 18.30 in diretta Facebook, come ogni sera da 40 sere, sceglieremo un’emozione da esplorare per poi esprimerla con i colori e con il materiale di riciclo.

Non ne ho mai parlato qui sul sito, ma oggi, al quarantesimo giorno, sento di poter spendere due parole sulla validità di questo lavoro, e su come potrei svilupparlo in futuro per aziende e scuole.

Tutto è partito da un mio bisogno, sabato 14 Marzo. In quei giorni osservavo in me repentini cambi di umore, una ricchezza di sfumature emozionali; leggevo un sacco di notizie per capire, per cercare di razionalizzare questa situazione mai vissuta prima e ogni notizia mi influenzava l’umore.

“Razionalizzare” è un meccanismo di difesa che aiuta a gestire la paura, questo lo so bene e prometto di parlarvene nei prossimi articoli, quindi non volevo limitarmi al razionalizzare, volevo sentire con la pancia, con il cuore, con tutto, altrimenti era per me chiaro che avrei solo trovato il modo per estraniarmi dalla situazione cercando la verità che forse non sapremo mai.

Quindi quel 14 Marzo ho scelto di rimanere presente e di vivere tutto: commozione per i concerti dai balconi, applausi delle ore 12.00 per sostenere il personale sanitario, candele accese, torce accese per le riprese dei droni, tristezza per chi non ce la fa, rabbia per i complotti, sospetti a ogni notizia letta o ascoltata, preoccupazione, euforia. Tutto insieme, ovvero una gran confusione, ma a questo ci sono abituata! Quando mi concedo di stare nella confusione più totale, l’unica cosa che mi aiuta a mettere ordine è la creatività.

Fino a quel giorno non avevo mai fatto una diretta con me stessa come soggetto, per quanto io ami parlare ritenevo di non avere nulla da dire con quella modalità. La preoccupazione di “me come soggetto” è andata in secondo piano, o nello sfondo per utilizzare un termine Gestaltico. In quella prima diretta ho detto a tutti che ci sarei stata ogni giorno fino alla fine della quarantena! Perché l’ho fatto? Perché prendendomi un impegno con chi segue la diretta, l’ho preso con me stessa, quindi si, l’ho fatto per me.

Erano giorni che valutavo opzioni su come rendermi utile: non me la sentivo di offrire sessioni gratuite per sostenere gli altri, non volevo rischiare di trovarmi in difficoltà con sconosciuti. Dal vivo mi accorgo se posso accogliere la richiesta del cliente o se meglio inviare la persona ad un altro professionista, ma al telefono o in videochiamata in situazione di emergenza mi sembrava davvero troppo per me. Tengo regolarmente sessioni e lezioni in videochiamata, ma non in emergenza!

La prima volta, ho raccontato del mio bisogno di rimanere in contatto con le mie emozioni e di esprimerle in modo autentico. Accompagnati dalla musica abbiamo iniziato a disegnare, colorare, respirare, ballare… il lavoro che svolgo solitamente nelle scuole di moda, indirizzato questa volta ad un pubblico diverso, un misto tra amici, clienti, amici di amici, la mia mamma sempre presente, ex studenti e qualche curioso sempre benvenuto.

Dal secondo giorno scelto un libro come supporto, “Il labirinto dell’anima” di Anna Llenas, un’illustratrice spagnola che mi piace un sacco! Ogni giorno scegliamo una pagina, leggo la descrizione proposta dall’autrice, poi per dieci minuti circa esploro il significato che quella parola ha per me, come la sento, dove mi porta, che paesaggi mi propone. Quando rileggo per la seconda volta la descrizione dell’emozione invito i partecipanti ad ascoltare con tutto il corpo, non solo con le orecchie. Ognuno di noi prova delle sensazioni corporee, ricordi, immagini: le rappresentiamo in modo creativo. Lasciamo andare tutte le nostre sensazioni sulla carta, a me piace usare tutti i cartoncini della birra, della frutta e tutto quello che solitamente butto via.

La terza fase è l’osservazione: guardiamo il lavoro svolto senza giudicarlo, lo accettiamo per quello che è, ovvero parte di noi. Una parte che si esprime liberamente, in modo spontaneo. Con la pratica ci siamo allontanati dall’idea del “bel disegno”, e siamo passati a riconoscere il messaggio autentico che esprimiamo attraverso la creatività.

Autentico vuol dire che è vero per noi, che esprime quello che proviamo nel momento presente.

Finita la diretta ricevo i lavori dei partecipanti e li raccolgo in un post, sempre sulla pagina di Mestieri-LAB. Perché faccio questo?

Perché in un momento come questo credo sia importante tornare alla base:

  • riconosco quello che è vero per me;
  • lo esprimo e me ne prendo la responsabilità;
  • vedo quello che è autentico per l’altro;
  • non lo giudico perché diverso da me;
  • se riesco, ne apprezzo la diversità.

Ho scritto “se riesco” perché non lo possiamo mai dare per scontato, ma in questa esperienza osservo giorno dopo giorno come il giudizio parta in primis da noi verso di noi. Fino a quando non accettiamo le nostre sfumature, fino a quando non esploriamo la differenza tra l’essere solidi e l’essere rigidi, come possiamo pensare di accogliere per davvero l’altro?

Sto pensando a come trasformare questa esperienza in un corso fruibile da un pubblico ampio: bambini, manager, anziani, ragazzi. Esseri umani che vogliono restare umani.

Si parla molto di intelligenza emozionale, ma io vorrei partire da qui, da una semplice educazione emozionale, stesso formato per tutti. Cosa ne dite?

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